Il Kazakistan dopo la rivolta

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Testimonianze oculari di Almaty; Analisi degli anarchici russi

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Dopo la nostra copertura della rivolta della scorsa settimana in Kazakistan, abbiamo tradotto una serie di punti di vista sulla situazione da varie fonti anarchiche russe e abbiamo intervistato due anarchiche di Almaty, la città più grande del Kazakistan e il luogo in cui i combattimenti sono diventati più intensi. Questo testo include anche fotografie inedite scattate dai nostri contatti ad Almaty.

6 gennaio: Una veduta di Almaty. Il fotografo: “Dai fuochi cala una fosca nebbia; ora sembra tutto come l’inverno nucleare.”

Le seguenti fonti dovrebbero servire a sfatare qualsiasi facile travisamento della rivolta da parte delle autorità del Kazakistan, della Russia o degli Stati Uniti, o dei loro equivoci sostenitori. A quanti diffondono teorie del complotto da parte degli Stati Uniti che tenterebbero di mettere in scena una “rivoluzione colorata” in Kazakistan, dobbiamo sottolineare che le proteste sono iniziate in risposta alla cancellazione da parte del governo del sussidio sul gas, prodotto sotto un redditizio monopolio statale in Kazakistan. Coloro che difendono i governi del Kazakistan e della Russia stanno difendendo le forze repressive che impongono misure di austerità neoliberista ai lavoratori sfruttati in un’economia basata sull’estrazione. La collocazione di tutti coloro che si oppongono sinceramente al capitalismo è al fianco dei lavoratori comuni e di altri ribelli che si oppongono alla classe dirigente, senza sostenere i governi che affermano di rappresentare i manifestanti mentre li uccidono a colpi di arma da fuoco e li imprigionano.

Questo non vuol dire che gli scontri in Kazakistan rappresentino una lotta anticapitalista unificata, o un movimento operaio di questa natura. I calcoli più credibili sulla composizione delle proteste riconoscono che vi è stata un’ampia gamma di partecipanti diversi che hanno utilizzato tattiche diverse per perseguire programmi diversi. Naturalmente, se siamo solidali con i lavoratori che protestano contro l’aumento del costo della vita, possiamo anche capire perché i disoccupati e gli emarginati abbiano potuto darsi al saccheggio.

Una crisi come la rivolta in Kazakistan solleva tutte le contraddizioni all’interno di una società. Ogni conflitto preesistente è spinto a un punto di rottura: tensioni etniche e religiose, rivalità tra le élite al potere, contese geopolitiche per l’influenza e il potere. Lo abbiamo visto in misura minore in Francia durante il movimento dei gilet gialli e negli Stati Uniti durante la rivolta di George Floyd e le sue conseguenze, sebbene quelle crisi non siano arrivate fino a una rivolta come in Kazakistan, dove, a causa della struttura di potere autoritaria radicata, qualsiasi lotta è immediatamente un’impresa radicale.

Se questo è vero, come noi abbiamo sostenuto, che i manifestanti in Kazakistan si stessero opponendo alle stesse forze che tutti noi dobbiamo fronteggiare in tutto il mondo, quindi la violenta repressione di quelle proteste da parte dei soldati degli eserciti di sei nazioni pone interrogativi che tutti dobbiamo porci. Sembra che tali esplosioni stiano diventando praticamente inevitabili poiché le catastrofi economiche, politiche ed ecologiche si sono abbattute una dopo l’altra in tutto il mondo. Come ci prepariamo anticipatamente per aumentare la probabilità che queste sollevazioni si risolvano favorevolmente nonostante tutte le forze schierate contro di noi? Nei momenti di potenziale rivoluzionario, come possiamo proporre questioni di cambiamento agli altri che compongono questa società insieme a noi, concentrando le linee di scontro lungo gli assi più generativi e liberatori, anche se competiamo con una varietà di fazioni che mirano a espandere le proprie ideologie e i propri interessi? Come possiamo evitare sia le teorie del complotto che la manipolazione, sia il disfattismo che la disfatta?

Nella seguente panoramica, redatta in collaborazione con anarchici russi, presentiamo l’analisi della rivolta in Kazakistan che è fuoriuscito dall’area ex sovietica, quindi condividiamo l’ intervista che abbiamo realizzato con gli anarchici ad Almaty non appena la connessione a Internet è stato ristabilita dopo la repressione.

5 gennaio a Almaty; foto di Zhanabergen Talgat.


La prigione delle nazioni

A partire dal 1° gennaio, quella che era iniziata come un’unica protesta contro l’aumento del costo della vita è diventata una rivolta nazionale su vasta scala, che per ora è stata brutalmente repressa da una combinazione di forze militari nazionali ed estere.

In un primo momento, i manifestanti hanno chiesto le dimissioni del governo, una riduzione del prezzo del gas e la rimozione dell’ex presidente - Nursultan Nazarbayev, il cardinale grigio del Kazakistan - dal vertice del Consiglio di sicurezza nazionale. Lo slogan dell’intero paese per questi giorni è diventato “Shal ket!”—”Nonno, vattene!” Quando le proteste hanno preso slancio, le persone sono arrivate rapidamente al punto di non voler accettare nient’altro che un cambiamento completo del governo, inclusa la cacciata dell’attuale presidente Kassym-Jomart Tokayev.

Il regime ha tentato di reprimere le proteste. Eppure i manifestanti sono riusciti a sottrarre armi alla polizia e a reagire, saccheggiando negozi e incendiando o occupando edifici comunali. Il presidente Tokaev ha dichiarato lo stato di emergenza e ha inviato militari contro i manifestanti con l’ordine di sparare a vista a chiunque avesse osato resistere. Allo stesso tempo, Tokaev ha chiesto ufficialmente supporto all’Organizzazione del Trattato per la sicurezza collettiva (CSTO, composta dalla Russia e da diversi paesi vicini) per riprendere il controllo del paese.

Secondo il Ministro dell’Interno del Kazakistan, circa 8000 persone sono state arrestate durante le manifestazioni e almeno 164 persone sono state uccise; da allora, sono circolate cifre molto più elevate. Si dice che alcuni importanti blogger e leader sindacali siano scomparsi. Internet è stato chiuso per giorni. Le persone sono state assassinate nelle piazze e per strada da cecchini e altri soldati.

La repressione militare della rivolta, compreso l’intervento della CSTO, ha giocato un ruolo chiave nell’esito finale. Dal 10 gennaio, i resoconti dei media e le testimonianze di persone in Kazakistan mostrano che ad Almaty i combattimenti si sono interrotti e i raduni di massa sono cessati in altre città.

Ecco l’analisi che Anarchist Fighter, una piattaforma anarchica che si occupa della Russia, pubblicata sul loro canale Telegram:

1) Intervento CSTO. Tutte le fonti più o meno lucide tra i kazaki lo percepiscono come un intervento e un attentato da “Grande Fratello” sulla loro sovranità. Ogni ora di presenza di queste forze nel paese moltiplica l’avversione e la rabbia;

2) Il governo autoritario non è scomparso. Il presidente Tokayev ha concentrato più potere nelle sue mani, ha invitato i militari stranieri, ha ordinato alle sue truppe di “sparare senza preavviso”… Ma i kazaki non si sono abituati alla brutalità del governo. Non li ha fermati e l’insoddisfazione per il governo non sta scomparendo.

3) La crisi economica non cesserà senza riforme fondamentali per la giustizia sociale. La repressione è essenzialmente solo un rinvio degli aumenti dei prezzi. Le autorità non offrono misure per superare la povertà e ridurre le disuguaglianze nella società. Di conseguenza, anche il malcontento che hanno creato non diminuirà.

Nel 21° secolo, l’ordine sociale prevalente è mantenuto solo da sforzi sempre più crescenti di repressione.


“Wahhabiti, terroristi, manifestanti”: Disinformazione sulla rivolta

Secondo l’ avtonom.org podcast, “Tendenze di ordine e caos ,”

Le autorità kazake si stanno impegnando molto per salvare la faccia e costruire la loro versione della realtà. L’operazione punitiva è chiamata “antiterrorismo”, come se un “terrorista” fosse chiunque si opponesse alle autorità con mezzi violenti. I ribelli, secondo loro, sono “militanti e banditi, devono essere uccisi” e il motivo della rivolta starebbe nei “media liberi e negli interventi stranieri”, questo è letteralmente quello che ha detto Tokayev. Stiamo assistendo in diretta allo sviluppo di una propaganda ideologica virtuale. La menzogna per cui il nero è bianco e la guerra è pace, senza troppi sentimentalismi, e chi non ci crede: al muro! Dopotutto, nessuno si sentirà dispiaciuto per i “terroristi”, questo è un mantra che i dittatori post-sovietici hanno imparato bene.

Dall’inizio dei combattimenti, sia i media kazaki che quelli stranieri hanno prodotto affermazioni sull’identità dei manifestanti. Le definizioni andavano da “manifestanti”, “giovani aggressivi” e “saccheggiatori” fino a “squadre di nazionalisti”, “20.000 banditi che attaccano Almaty” e “terroristi islamici”. È vero che diversi gruppi e fazioni hanno partecipato alla rivolta. Ma questo non è di per sé un problema: nella rivolta era rappresentata un’intera società, con tutte le sue differenze e contraddizioni. È lecito ritenere che persone diverse abbiano partecipato a diverse azioni contro il regime, inclusi scontri e saccheggi.

Da Anarchist Fighter:

Il giornalista Maksim Kurnikov ha detto alcune cose molto interessanti nella trasmissione mattutina di Ekho Moskvy. Ha osservato che la pratica “di prendere armi dai negozi di armi e poi attaccare le forze di sicurezza” non è nuova in Kazakistan.

Esattamente la stessa cosa è accaduta nella città di Aktobe nel giugno 2016: diverse decine di giovani, divisi in gruppi, hanno prelevato armi da due depositi di armi, sequestrato veicoli e attaccato elementi della Guardia Nazionale, azione in cui sono stati debellati. Le autorità del Kazakistan sono state molto confuse in questo caso: non è ancora molto chiaro quale sia la base delle loro affermazioni su un “collegamento islamista”.

Kurnikov ha anche parlato delle guardie paramilitari nelle raffinerie di petrolio illegali nel Kazakistan occidentale, composte da abitanti dei villaggi locali, chiamati in modo sprezzante “mambets” (agricoltori collettivisti) dai cittadini kazaki. Questi gruppi si sono talvolta scagliati anche in scontri armati con agenti di polizia.

Cosa ci dice tutto questo? Naturalmente, le parole del presidente Tokayev sui “gruppi terroristici accuratamente addestrati all’estero” sono pura propaganda e molto probabilmente una grossolana bugia. Sembra improbabile anche che cellule armate in grado di impossessarsi di istituzioni della sicurezza e di arsenali si siano improvvisamente materializzate da una folla eterogenea. Detto questo, non abbiamo prove di un coinvolgimento islamista o nazionalista negli eventi di Almaty. Tuttavia, come possiamo vedere, in linea di principio esistono nella società kazaka gruppi organizzati capaci di una resistenza armata attiva. È probabile che le persone che si sono impegnate in un confronto diretto con le forze dell’ordine fossero in parte rappresentati in tali gruppi e in parte dei manifestanti spontanei autorganizzati. C’è un’analogia con il Maidan del 2014 [cioè, le proteste a Kiev], dove la difesa è stata organizzata sia spontaneamente dalla folla che con la partecipazione di gruppi organizzati radicali che si sono uniti a essa”.

Le affermazioni sui fondamentalisti islamici che hanno partecipato agli eventi potrebbero benissimo essere vere in una certa misura. Ma è anche certo che le autorità utilizzeranno qualsiasi informazione su di loro per screditare tutti gli altri gruppi, identità e partecipanti coinvolti nella rivolta. La disperazione economica e la persecuzione sociale e politica spesso spingono le persone al fondamentalismo così come ad altre forme di radicalismo.

Secondo Anarchist Fighter:

“Rimane urgente la questione del peso reale delle forze degli attori non statali su questi eventi:

Il giornalista dell’opposizione Lukpan Akhmedyarov, dalla emittente radiofonica Ekho Moskvy, ha detto di credere al fatto che l’attacco armato alle autorità di Almaty fosse opera di seguaci di Nazarbayev[capo del Consiglio di Sicurezza kazako]. Gli argomenti su questa sua convinzione non sono chiari.

È interessante sottolineare che Akhmedyarov ha notato che nella sua città nativa Uralsk, in piazza accanto ai manifestanti, c’era un gruppo di diverse dozzine di persone organizzate che fomentavano un assalto all’Akimat. Anche un piccolo gruppo di “istigatori abbigliati in modo identico” è stato segnalato da Kostanai.

Che cosa vuol dire? Qualche oscura forza ribelle organizzata, gruppi criminali o davvero provocatori dei servizi statali? O forse è una narrazione “non violenta”, che cerca di far passare i sostenitori dell’azione diretta come tali? Non ci sono risposte.

Una cosa è chiara: dividere i manifestanti in “pacifici” e “terroristi” è una distorsione della realtà. Già prima degli eventi di Almaty c’erano spezzoni di corteo nella stessa Uralsk, dove i manifestanti stavano coraggiosamente liberando quelli arrestati dalla polizia.

Assumiamo una verità: sì, una protesta “violenta” radicale non ne garantisce per niente il successo, né è immune alle provocazioni. Ma una protesta puramente “non violenta” nella nostra realtà autoritaria è semplicemente condannata in anticipo. “Vi abbiamo ascoltato, risolveremo tutto e metteremo in galera i più violenti tra voi”, questa è la risposta ricorrente dei potenti in Russia, Bielorussia, Kazakistan…

Le varie voci sui conflitti interni alla struttura di potere in Kazakistan e le speculazioni sulle geometrie geopolitiche in gioco nella rivolta potrebbero essere tutte vere. Ma diffondere queste voci e speculazioni al centro della narrazione su ciò che sta accadendo in Kazakistan è una scelta politica: è una decisione di negare l’agenzia delle innumerevoli persone comuni che hanno partecipato alla rivolta per le proprie ragioni. Come tutte le teorie del complotto, questo presuppone che le uniche persone che hanno un’agenzia nella situazione siano oscuri attori del potere globale; serve anche a distrarre le persone dalle cose ovvie che tutti sanno stanno accadendo, come l’élite politica del Kazakistan che trae profitto dall’esperienza di tutti gli altri.

Voci e strumentalizzazioni servono a influenzare gli eventi e il modo in cui gli altri li capiscono e li vivono. Vero o no, ognuno di questi interventi serve a focalizzare l’attenzione su determinate figure, a diffondere un certo insieme di presupposti su come funziona il mondo. Se queste teorie del complotto mettono in dubbio i partecipanti alla rivolta abbastanza da distrarre le persone dal sostenere i manifestanti che si difendono da soli contro lo sfruttamento economico e il dominio politico, allora saranno riusciti allo scopo di mantenere tutti ovunque dipendenti dalle élite politiche.

Un trono dopo il saccheggio della residenza del presidente ad Almaty.


Lo stesso Tokayev non ha esitato a proporre le storie più stravaganti, sostenendo che alcuni terroristi internazionali che avrebbero guidato la rivolta non possono essere identificati perché i loro corpi sono stati trafugati dagli obitori. Secondo Anarchist Fighter,

Si scopre che i terroristi non possono essere mostrati al pubblico una volta che sono morti. I loro compagni d’armi hanno rapito i morti direttamente dagli obitori!

E il fatto principale è che le autorità kazake spudoratamente affermano apertamente che i manifestanti radicali si travestono da poliziotti e soldati (!!!) Ora qualsiasi atrocità dei punitori può essere attribuita agli stessi rivoluzionari. Forse i manifestanti sono stati fucilati da quanti erano “sotto mentite spoglie”? E se ora si scopre che bambini e giornalisti sono stati uccisi da uomini in uniforme e con gli spallacci, allora lo sai già: ovviamente si trattava dei “rivoltosi” travestiti e non dei brutali carnefici delle forze speciali Tokayev.

Al di là della questione su chi ha partecipato alla rivolta, è importante chiedersi chi beneficia della sua repressione. Come un commento ha detto,

Putin non è un nazionalista, ma un garante. Garantisce la sicurezza dell’élite post-sovietica e la sicurezza delle loro proprietà. Lo garantiva solo nella Federazione Russa, ma ora sembra che lo garantisca anche in Kazakistan. Dopotutto, anche lì agisce il capitale russo.

Guarda l’elenco di Forbes del Kazakistan. Sono elencati i veri beneficiari dell’operazione di mantenimento della pace. L’elenco, tra l’altro, è curiosamente internazionale. I primi due posti sono occupati dai coreani kazaki della [famiglia] Kim. Il primo [Vladimir] è il principale azionista di KAZ Minerals, una “compagnia britannica di rame”, come la descrive Wikipedia. Nel 2021, la sua fortuna è aumentata di 600 milioni di dollari. Il secondo Kim,[Vyacheslav] insieme a Baring Vostok, possiede una delle principali banche kazake, Kaspi Bank, che è quotata anche a Londra e ha mostrato una crescita impressionante, nonostante la pandemia. Al terzo posto sono stato sorpreso di trovare un cittadino della Georgia [Mikhail] Lomatdze, che è anche comproprietario di Kaspi Bank e suo manager.

Poi arriva un certo Bulat Utemuratov, che durante il governo di Nazarbayev degli anni ‘90 si è specializzato nel commercio estero. Possiede ForteBank, il cui utile netto per il 2020 “è stato di 53,2 miliardi di tenge” (121 milioni di dollari), così come le principali partecipazioni nei principali operatori mobili, il 65% della società di estrazione dell’oro RG Gold e un mucchio di altre attività, tra cui un franchising Burger King e hotel “Ritz-Carlton a Nur-Sultan, Vienna e Mosca “…

Il quinto e il sesto posto sono condivisi dalla figlia e dal genero di Nazarbayev. Il suo genero, Timur Kulibayev, possiede “la partecipazione di controllo nella Steppe Capital Pte Ltd di Singapore”, che possiede la “olandese” KazStroyService Infrastructure BV e Asset Minerals Holdings (Caspi Neft JSC, 50% di Kazazot JSC) .

Dinara Kulibayeva, la figlia di Nazarbayev, insieme a suo marito, possiede la Halyk Bank of Kazakistan: la “capitalizzazione di mercato della banca ha raggiunto i 3,1 miliardi di sterline (4,3 miliardi di dollari)”. Al settimo posto c’è uno speculatore finanziario russo e fondatore della “società di investimento americana” Freedom Holding Corp. Timur Turlov. “Secondo il bilancio della società, le sue attività sono triplicate nel 2020 a 1,47 miliardi di dollari (453,5 milioni di dollari nel 2019), il patrimonio netto è quasi raddoppiato a 225,5 milioni di dollari (rispettivamente 131,3 milioni di dollari), l’utile netto è balzato di 10 volte a 42,3 milioni di dollari (rispettivamente 4 milioni di dollari). “

E così via.

E dall’altra parte delle barricate ci sono quelli che lavorano per tutto questo bel mondo per 300 dollari al mese (quanto è approssimativamente stimato lo stipendio medio in Kazakistan), estraggono minerali per le società “britanniche” e “singaporeane” o al servizio dei concittadini nel settore dei servizi, che pure appartiene a tutti quelli nell’elenco; o quelli che non hanno trovato lavoro nella grande e media impresa, i cui guadagni si possono solo intuire (si ritiene siano anche inferiori). I lavoratori, concentrati intorno alle imprese, chiedono garanzie sociali (prezzi più bassi delle utenze, cure mediche gratuite, salari più alti, ecc.). Coloro che non sono nemmeno lavoratori stanno semplicemente cercando di ottenere il necessario dalle catene di vendita al dettaglio e dalle banche attraverso vetrine rotte e negozi saccheggiati.

Considerando che i lavoratori saranno sicuramente abbandonati a loro stessi non appena il caldo si sarà placato, le azioni di questi ultimi non possono essere definite irrazionali o ingiuste.

Il centro di Almaty 5 gennaio; foto di Zhanabergen Talgat.


Una primavera in ritardo da trent’anni

Ancora una volta, secondo il podcast avtonom.org, “Tendenze di ordine e caos,”

“In primo luogo, le autorità kazake e il presidente Tokayev non si fidavano delle proprie strutture di polizia e di governo. La polizia e l’esercito avevano già iniziato a schierarsi dalla parte dei ribelli, ed era ovvio che qualsiasi esito era possibile. In queste circostanze, Tokayev ha deciso l’ultimo gesto estremo: chiamare le forze repressive dai paesi vicini. Si è trattato di un suicidio politico: ha ammesso infatti di essere in guerra con il suo stesso popolo e perfino con il suo stesso apparato statale.”

La situazione in Kazakistan si è intensificata molto rapidamente, non solo le proteste, ma anche la brutalità con cui sono state represse. I combattimenti nelle strade sono una conseguenza del modo in cui la pazienza delle persone in Kazakistan è stata messa alla prova ormai per decenni. La società kazaka ha già visto combattimenti e sparatorie nelle strade: nel 1986, quando il governo di Mikhail Gorbaciov ha represso una rivolta ad Almaty, compiendo un massacro,1 e nel 2011, quando la polizia ha sparato ai lavoratori in sciopero a Zhanaozen, uccidendone a decine.

Quando sono emerse le prime notizie di un intervento militare interno,ciò non sembrava poter causare una grave battuta d’arresto per la rivolta. I combattimenti non cessarono allora, anzi, si intensificarono. Abbiamo visto video di soldati disarmati tra la folla, accolti perché avevano cambiato schieramento.

Poi internet è stato chiuso. Il motivo ufficiale del blackout di Internet era “impedire ai terroristi di vari paesi che stanno combattendo ad Almaty di coordinarsi con il loro quartier generale”. Ciò ha causato una fondamentale mancanza di informazioni dai luoghi in cui si stava svolgendo la rivolta, rendendo più facile rappresentare - o meglio travisare - gli eventi. In un’epoca in cui tutto è filmato, fotografato, caricato e condiviso, isolare una rivolta sociale dai mezzi di comunicazione serve a cancellarla dalla realtà, aprendo uno spazio in cui possono prosperare le falsificazioni.

Le forze antisommossa filmano i combattimenti in Kazakistan dal loro punto di osservazione. La guerra dell’informazione si svolge sempre su un campo di battaglia irregolare.

Eppure uno degli eventi più importanti si è svolto in piena luce: l’intervento del CSTO. Ciò ha sollevato molte contraddizioni contemporaneamente. Designato formalmente come “assistenza al mantenimento della pace dall’Organizzazione del Trattato per la sicurezza collettiva (CSTO),” comprende un contingente fino a 20000 soldati provenienti da Armenia e Tagikistan, 500 dalla Bielorussia dal dittatore Lukashenko (che ha recentemente represso una sua rivolta), un non specificato numero di soldati kirghisi e 3000 soldati russi. È significativo che i paracadutisti russi che sono stati trasferiti in Kazakistan siano comandati da Anatoliy Serdyukov, che ha esperienza nelle guerre cecene, nell’annessione della Crimea e nella guerra in Siria. Noi possiamo vedere in piena luce qui le attività imperialiste della Russia.

In Kazakistan, il regime si sforza di rimanere al potere con ogni mezzo necessario, ricorrendo a invitare le dittature vicine a invadere il suo territorio. Per le persone in Kazakistan, questo dovrebbe significare la perdita definitiva di qualsiasi legittimità di Tokayev ai loro occhi. Tutti nella regione possono vedere che la CSTO rappresenta l’unità dei governi che la compongono contro i loro popoli.

Secondo avtonom.org:

Un presidente che definisce il popolo del proprio paese come “bande terroristiche” rappresenta il punto più basso anche per gli standard delle “repubbliche autoritarie post-sovietiche”. “

In realtà, questa è un’invasione violenta di un altro Paese da parte di autorità verso cui la gente ha perso fiducia. Significherebbe la riproduzione infinita dello scenario per cui “La Russia è una prigione delle nazioni” e sarebbe alla stregua della repressione delle rivoluzioni ungheresi del 1848 e 1956, con i carri armati nelle strade di Praga nel 1968, e con l’invasione dell’Afghanistan nel 1979.

La carcassa bruciata di un veicolo militare ad Almaty, foto de l7 gennaio. Nessun governo è invincibile nemmeno il più potente impero.

Da Zhanaozen ad Almaty: Ricordando i morti

Da Anarchist Fighter:

“L’attuale rivolta in Kazakistan è iniziata con le proteste a Zhanaozen. La stessa città in cui, nel dicembre 2011, le autorità hanno sparato ai lavoratori petroliferi in sciopero. La tragedia di Zhanaozen ha segnato la cultura della protesta in Kazakistan. Il popolo ha celebrato la memoria dei morti. Il dovere dei vivi era continuare l’opera dei caduti.

E nel gennaio 2022 Zhanaozen è risorta. La prima città del paese, un esempio per tutte le altre. Il motivo formale delle proteste è stato l’aumento dei prezzi del gas e l’aumento dei prezzi dei generi alimentari. Ma, come ha notato Mikhail Bakunin, la semplice insoddisfazione per la situazione materiale non è sufficiente per la rivoluzione, è necessaria un’idea mobilitante. In Kazakistan, una di queste idee è stata la lealtà verso i combattenti morti nel 2011. I lavoratori che sono morti allora sotto i proiettili non vedranno mai il mondo che sognavano, ma la morte per amore di un sogno è diventata una testimonianza dei vivi per continuare la loro causa. E per questo che per i ribelli del Kazakistan non c’è possibilità di tornare indietro adesso.

La cultura ribelle dell’Kazakistan ha molto da imparare. Anche noi dobbiamo conservare la memoria dei martiri del movimento di liberazione in Russia e Bielorussia. A proposito di Michael Zhlobitsky, Andrey Zeltzer, Roman Bondarenko e altri eroi. Sono morti per renderci più coraggiosi e più forti, e noi siamo in debito con loro. Dobbiamo raccontare come hanno vissuto e per cosa hanno dato la vita. Come dimostrano gli eventi in Kazakistan, i martiri caduti sono in grado di sollevare le persone alla rivolta. ”

I resti della rivolta: Almaty dopo the uprising.


Intervista: Testimonianza oculare di anarchici ad Almaty.

Per avere una migliore prospettiva degli eventi in Kazakistan, abbiamo contattato due anarco-femministe che hanno vissuto in prima persona alcuni momenti della rivolta. Non si trovavano in prima linea durante gli scontri, ma sono attiviste attive da anni nelle lotte femministe in città2, quindi il loro fornisce il posizionamento più vicino ad un posizionamento “neutrale” sugli avvenimenti che potessimo trovare.

Femminste anarchiche ad Almaty durante la giornata internazionale delle donne, 8 marzo 2021.

Presentatevi e diteci da quale situazione ci state parlando.

Siamo due anarchiche del Kazakistan, entrambe usiamo il pronome lei. Abbiamo partecipato a molte attività di sinistra-anarchiche-femministe-ecologiste, di liberazione animale e vegan ad Almaty negli ultimi undici anni, ma al momento non siamo molto attive.

Non posso menzionare nessun movimento anarchico in Kazakistan nel 21esimo secolo. C’erano attività clandestine negli anni 1990, ma al momento, non esiste nulla di tutto questo. In passato ho fatto parte ad un gruppo di sinistra-marxista: riunioni, un gruppo di lettura, alcune letture pubbliche. Non so cosa stiano facendo ora gli ex-membri del gruppo. Non sento più nulla di nessun gruppo “di sinistra” qui.

Ero una delle organizzatrici di uno dei primi movimenti femministi qui-Kazfem. Abbiamo organizzato molte attività pubbliche e performance, pubblicato una rivista femminista chiamata Yudol’, e organizzato delle manifestazioni per l’8 marzo [Giornata Internazionale delle Donne].

C’è un movimento giovanile progressista qui chiamato Oyan Kazakhstan (“Sveglia, Kazakistan”) che è attivo ora. Organizzano riunioni pubbliche, performance, marce, e vengono spesso perseguitati dalla polizia. Hanno iniziato dopo l’azione con uno striscione che Beibarys Tolymbekov ed Asya Tulesova hanno inscenato alla maratona della città nel 2019.3 Sono statx incarceratx per 15 giorni e hanno scatenato una grande ondata di attenzione, specialmente sui social media, cosa che non era mai successa prima. C’è una teoria complottista secondo la quale tuttx questx attivistx sarebbero pro-governo, perché ora nessuno è in carcere, ma non credo che sia vero. Conosco moltx di loro personalmente. Supportano anche delle iniziative femministe e LGBT. Sul lato opposto-principalmente haters su internet e alcuni media legati al governo- ci sono persone che affermano che tutto questo è opera dell’ “Occidente” (Europa e Stati Uniti).

Il Kazakistan è un paese autoritario. Abbiamo avuto lo stesso presidente [Nursultan Nazarbayev] per 28 anni, e quello nuovo [Kassym-Jomart Tokayev] è solo un fantoccio. Ma quando il primo presidente si dimise, la gente ha iniziato a pensare ad un cambiamento. Il culto della personalità attorno a Nursultan Nazarbayev non è sparito dopo la sua rinuncia. La capitale, Astana, è stata ribattezzata “Nursultan”, il che ha provocato molte proteste. Nel corso degli ultimi anni, la situazione economica è peggiorata, specialmente dopo la pandemia, inflazione molto alta, corruzione, ecc. Inoltre, ci sono state molte vendite e affitti delle nostre terre alla Cina e altri paesi.

La situazione è sempre stata simile-ma dieci anni fa, o persino cinque anni fa, un numero maggiore di persone erano fedeli al presidente e spaventate dalla “destabilizzazione”. A quei tempi, c’era la speranza che noi [Kazakistan] ci stessimo “sviluppando”, che le cose sarebbero migliorate presto.

Persino ai tempi degli eventi a Zhanaozen nel 2021, quando spararono sui lavoratori che stavano protestando, c’era ben poco sostegno da Almaty. Molte persone pensavano che quello che stava succedendo fosse giusto.

Prima, se c’erano delle proteste, erano organizzate e supportate dalla generazione più anziana, da lavoratori e persone dalle regioni, le auls (villaggi), solitamente guidate dall’ambiguo leader dell’opposizione Mukhtar Oblyazov. Ma negli ultimi tre anni, persone giovani della classe media urbana sono diventate attiviste politiche. Principalmente gente di Almaty, ma c’è stato supporto anche in altre città.

Tra l’altro, penso che i problemi ecologici ad Almaty-dove sperimentiamo livelli di inquinamento estremamente alti e la situazione peggiora ogni anno-sono le grandi ragioni per le proteste della gioventù qui. Assieme allo sviluppo dei social media, ovviamente.

Centro di Almaty, 5 gennaio.

Raccontateci quello che avete vissuto la settimana scorsa.

Poco dopo Capodanno, sono iniziate a giungere notizie di un sollevamento di lavoratori a Zhanaozen. La protesta era pacifica, le rivendicazioni erano abbastanza radicali-andavano dall’abbassamento dei prezzi del carburante alle dimissioni del governo. Le proteste sono iniziate anche in altre Le proteste sono iniziate anche in altre città. Si è saputo che ci sarebbero state azioni di solidarietà ad Almaty il 4 gennaio, ma non avevo informazioni precise.

Tornando a casa quel giorno, sono venuta a conoscenza di proteste in diverse parti della città e di arresti di attivistx del movimento [giovanile progressista menzionato in precedenza] Oyan Kazakhstan. Vivo un po’ fuori città, in montagna, e già a casa è diventato evidente che stesse succedendo qualcosa di serio. Quella sera, tutte le connessioni internet sono state messe offline. Non sapevo dove andare e se potevo tornare.

Riguardo quello che è successo in città in quel periodo, il mio compagno Daniyar Moldabekov, un giornalista politico, ha scritto:

Quando i/le manifestanti si sono avvicinatx alla piazza, la polizia ha iniziato a lanciare granate stordenti e gas lacrimogeni. Io ed altre migliaia di persone ci siamo sentite soffocare, abbiamo sentito bruciore agli occhi e in faccia, e non riuscivamo a smettere di tossire. Credo sia un miracolo che non sia svenuto. Devono aver sparato oltre un centinaio di granate stordenti tra le 11 di sera e le 4 del mattino, ora alla quale i miei colleghi mi dovevano accompagnarmi a casa. Dal mio appartamento potevo ancora sentire gli spari.

Circa un’ora dopo aver raggiunto la Piazza della Repubblica, la folla si è spostata lungo la via Abai, dove è si è trovata davanti un mezzo corazzato che veniva nella sua direzione. Un camion che trasportava dei/delle cittadinx che sventolavano delle bandiere kazake è passato davanti alla folla. Alcuni di loro tenevano in mano degli scudi che probabilmente erano stati sottratti alla polizia antisommossa.»

La gente ha sentito esplosioni per tutta la notte. Stentavo a crederci. La mattina dopo, la notizia si è diffusa via telefono. Ho chiamato chiunque per mezza giornata, sentito notizie sulle vittime, sugli/sulle attivistx che erano statx rilasciatx. Solo dalla casa di alcunx amicx era possibile navigare online. L’edificio Akimat (il municipio) era stato occupato. Tuttx tentavano di convincerci di rimanere in casa. Ipotizzando che le proteste potessero avere un carattere nazionalista, alcune persone hanno inziato ad aver paura (sono etnicamente russa in Kazakistan).

Non c’erano notizie disponibili su chi fosse in piazza e in città a quel momento. Una persona amica ed io abbiamo deciso di andare a vedere con i nostri occhi.

Centro di Almaty il 5 gennaio.

La città era mezza vuota. Auto con delle bandiere del Kazakistan giravano nelle vie urlando slogan gioiosi. Tutto era chiuso. Sulle porte, c’erano cartelli con scritto “stiamo con il popolo”. Un’atmosfera di entusiasmo. Avvicinandoci alla piazza, c’era un numero maggiore di gruppi di giovani uomini. Ho visto una spallina di un uniforme della polizia per terra in strada. C’erano persone armate di bastoni che si radunavano. Ho inziato ad avere un po’ paura, ma nessuno era aggressivo. Al monumento dedicato agli eventi del 1986 (il sollevamento contro il regime sovietico), abbiamo incontrato dei manifestanti con degli scudi della polizia. In giro non si vedeva nessun poliziotto o soldato.

Centro di Almaty il 5 gennaio. Il cartello sulla porta dice: “Siamo con il popolo.”

Poi abbiamo visto l’Akimat in fiamme. Non potevamo credere ai nostri occhi. La gente teneva accesi dei fuochi. Tuttx erano calmx. Hanno sfasciato le porte dell’edificio situato al lato opposto dell’Akimat. C’erano canali televisivi e altri servizi del governo. Degli uomini ci sono venuti incontro: “Perché siete venute?” (Intendevano dire-perché siete venute, visto che etnicamente siete russe?).

“Questa è la mia città e il mio paese, tanto come il tuo,” ho risposto. Ci hanno accolte con allegria. Non abbiamo percepito nessuna aggressività da parte loro.

Abbiamo offerto del tè caldo ai/alle manifestanti. Un uomo ci ha detto di essere stato presente dall’inizio delle proteste- che tutto era iniziato pacificamente, fino a quando le autorità hanno iniziato a sparare granate stordenti e usare la violenza.

“Ora”, ha detto, “Stanno sparando”. Le guardie sono rimaste solo vicino all’edificio dell’Akimat.

Lui ed altri uomini presenti avevano visto delle persone a cui era stato sparato in testa. Hanno chiamato dei taxi per portarle in ospedale. Ci ha detto che stavano pianificando di occupare l’aeroporto, in modo da impedire all’esercito russo di atterrare.

Molte delle persone dell’alta borghesia, del governo e dell’economia, avevano già lasciato il paese su voli privati. C’erano voci secondo le quali pure N. Nazarbaev aveva lasciato il paese.

Nessuna delle persone che abbiamo visto in piazza sembrava un “saccheggiatore” [sic].

Volevano le dimissioni del governo. Non stavano dando ordini; nessuno stava muovendo i fili. Questa era un sollevamento di lavoratotri/trici a livello nazionale. Nessuno aveva paura di morire, ma non abbiamo visto nessuna collera. Ci hanno mostrato le ferite causate da pallottole di gomma e ci hanno avvertite che presto ci sarebbero state delle sparatorie serie, che era meglio per noi andarcene.

Il suono delle esplosioni e degli spari si è fatto sempre più vicino e frequente. Ce ne siamo andate. Un uomo ci ha dato un passaggio con la sua auto. In tutti questi giorni, le persone hanno dato mostra di molta solidarietà.

I/le miei/mie amici/che ed io abbiamo deciso di stare insieme a casa mia. Eravamo tuttx emozionatx. Questo era prima dell’arrivo delle notizie riguardanti la distruzione, i saccheggi, e le vittime civili. A mezzanotte, tra il 5 ed il 6 gennaio, sono state tagliate tutte le connessioni internet. Per quattro giorni, eravamo in isolamento; potevamo solo fare e ricevere chiamate, che non funzionavano bene.

Quella notte, la città intera è stata abbandonata da tutti i servizi, compresi i pompieri ed i servizi medici. I fuochi sono stati spenti di volontari. Inoltre, alcuni manifestanti hanno tentato di fermare i “saccheggiatori”. 4

Il 7 gennaio, alcuni bancomat lontani dal centro città stavano ancora funzionando. In quella parte della città, quasi tutto era pulito, tranne gli edifici del governo bruciati attorno alla piazza. Alcuni servizi funzionavano ancora. Il giorno prima, era stato possibile entrare negli edifici; nessuno faceva la guardia. Questa volta, abbiamo scattato delle foto e in seguito c’è stato uno sparo nelle vicinanze e ce ne siamo andatx.

La sera del 9 gennaio, è diventato possibile connettersi ad internet con servizi proxy. Un collegamento con i telefoni era ancora impossibile. La mattina del 10 gennaio, la connessione funzionava ovunque, ma solo fino all’1 di notte e poi di nuovo dalle 5:30 alle 7:30 di sera.

Centro di Almaty il 5 gennaio.

Ci sono state molte speculazioni fuori dal Kazakistan su chi ci potesse essere “dietro” a queste proteste. Queste accuse hanno qualche credibilità? Abbiamo pure visto degli articoli che affermano che degli scontri tra fazioni rivali all’interno del potere abbiano contribuito a questa situazione. Quanto credi che il fondamentalismo islamico sia coinvolto in questi eventi?

Il presidente Tokaev è ancora al potere, nonostante le voci riguardanti un suo ritiro. Adesso i canali televisi del governo e i media stanno diffondendo moltissima disinformazione e propaganda. Oraè molto presto per tirare delle conclusioni, ma alcune cose sono chiare.

Tutto è iniziato come un sollevamento popolare. Certo, hanno incendiato l’Akimat, ma nessuno li ha guidati. Volevano solo farla finita con il vecchio regime. Non erano “criminali”[sic].

Dopo l’inizio, si sono presentate altre forze. Non sappiamo chi fossero. Ma è vero che erano organizzati. Ma da chi? Ora ci sono molte voci. Alcuni media ufficiali affermano che provengono dal [vicino] Kirghizistan, dove ci sono state diverse rivoluzioni dall’indipendenza [come il Kazakistan, il Kirghizistan è diventato indipendente quando l’Unione Sovietica si è sciolta nel 1991]. Quegli organi di informazione stanno anche diffondendo rapporti sui talebani o sugli jihadisti. Persone che conosco personalmente hanno detto di aver visto per strada persone che “sembravano loro” [sic].

Qui in Kazakistan, non ho visto parlare della CIA [la Central Intelligence Agency del governo degli Stati Uniti]. Penso che sia propaganda russa.

L’ex consigliere del presidente ha avanzato affermazioni su una cospirazione all’interno delle strutture governative, sostenendo che per diversi anni c’erano “campi di addestramento” in montagna e il National Safety Committee nascondeva queste informazioni. Egli affermava: “Ho informazioni esclusive che, ad esempio, 40 minuti prima dell’attacco all’aeroporto, è stato dato l’ordine di rimuovere completamente il cordone e le guardie”.

Almaty, 7 gennaio.

Cosa puoi dire sulle dinamiche interne della rivolta?

Tutti al di fuori del Kazakistan stanno cercando di analizzare cosa sta succedendo ed è molto difficile farlo senza contesto, e quelli all’interno del paese non possono farlo a causa della mancanza di informazioni complete. Penso che anche noi, i residenti di questo paese, non capiremo cosa sia successo per molto tempo. Oltre al fatto che ora non esiste una connessione Internet stabile e che prima non c’era nemmeno una connessione al cellulare, tutti i canali di notizie sono severamente censurati e la situazione peggiorerà.

Non descriverò le teorie che stanno circolando ora, ma riguardano tutte diverse lotte di potere tra il clan Nazarbayev e altri in cerca di potere: ad esempio, c’è una teoria secondo cui Tokayev, con l’assistenza dell’esercito russo, si sta assicurando la sua posizione in potenza.

La cosa spaventosa di tutto questo è che decine di migliaia di persone sono state coinvolte nel gioco e i loro tentativi ben intenzionati di cambiare in meglio le condizioni sociali e politiche di questo paese, per il bene di tutti, sono ora utilizzati da poche persone per dividersi tra loro le risorse di questo Paese secondo nuovi equilibri. Sì, tutto è iniziato con le richieste economiche dei lavoratori del Kazakistan occidentale, che protestavano contro il forte aumento dei prezzi del gas. Poi le richieste sono diventate politiche: le dimissioni del governo e del presidente, l’elezione di akims (sindaci) e una repubblica parlamentare. Alcune delle richieste sono state soddisfatte, ma non subito, e quando sono state ignorate, un’ondata di protesta e solidarietà si è diffusa in tutte le città del Kazakistan, tanto che da fuori sembrava un grande sfogo rivoluzionario, che nel nostro Paese non è mai avvenuto in trent’anni di regime autoritario. Non possiamo dire nulla con certezza ora, tranne una cosa: questa protesta non aveva un leader pubblico e le rivolte di strada e l’occupazione degli edifici amministrativi non avevano richieste espresse. Ma ci sono stati omicidi e un numero enorme di vittime tra la popolazione, che le ha subite prima negli scontri con la polizia, poi tra di loro nelle strade, da cui la polizia è fuggita, e poi le sparatorie contro i civili in strada da parte delle forze armate del Kazakistan e della CSTO (anche se ci è stato promesso che ora sarebbero state solo a protezione delle strutture statali).

I mass media a cui è stato permesso di continuare a funzionare hanno iniziato a parlarci di radicali e islamisti, usando l’immagine del nemico dall’esterno. Prima di allora, durante i primi giorni delle proteste, c’era una posizione che chiedeva di “impegnarsi in un dialogo pacifico con i manifestanti” — e il giorno dopo c’era già ordine di sparare per uccidere (nel discorso del presidente Tokayev). Dopo l’ingresso delle truppe CSTO e due giorni di continue sparatorie per le strade, Tokayev ha identificato i manifestanti con i terroristi, così come gli attivisti e i difensori dei diritti umani, e i media indipendenti nelle sue parole sono diventati una minaccia alla stabilità.Il discorso dello Stato è in continua evoluzione nel processo di questa ricerca di un nemico: ieri quel nemico sarebbe stato composto dai disoccupati del Kirghizistan, oggi sono già i radicali dall’Afghanistan.Ci auguriamo tutti che domani non saranno gli attivisti che hanno sostenuto le riforme politiche in Kazakistan negli ultimi tre anni e che si sono visti ai raduni.

Il centro di Almaty il 5 gennaio.

Cosa sai dirci della repressione?

Il musicista kirghiso Vicram Ruzakhunov è stato arrestato e torturato dalle autorità kazake in quanto “terrorista” ed è stato costretto a registrare un video e a “confessare”. Ora è libero.

Il giornalista locale indipendente Lukpan Akhmediyarov è stato arrestato. Un altro giornalista indipendente, Makhambet Abjan, ha scritto che il 5 gennaio la polizia è arrivata nel suo appartamento; ora è scomparso. I miei amici e molte altre persone sui social media riferiscono che anche loro parenti e amici sono scomparsi.

I funzionari hanno già confermato la morte di centinaia di vittime, tra cui due bambini. Gli attivisti dei sindacati sono scomparsi, inclusi Kuspan Kosshigulov, Takhir Erdanov e Amin Eleusinov e i suoi parenti.

Ad Almaty, i giornalisti di Channel Dozhd’ (Телеканал Дождь), che hanno cercato di riprendere filmati nell’obitorio municipale, sono stati picchiati (non hanno subito ferite).

Il 6 gennaio i volontari sono venuti in piazza. Alcuni attivisti hanno esposto uno striscione con la scritta “Non siamo terroristi”. La polizia gli ha sparato, uccidendone almeno uno.

Il centro di Almaty il 5 gennaio; a photograph by Zhanabergen Talgat.

Come pensi che le truppe russe che sono entrate in Kazakistan cambieranno la situazione, nel lungo termine?

L’ingresso delle truppe russe è molto preoccupante. Nella situazione di una guerra con l’Ucraina, potremmo immaginare tutti gli scenari peggiori. Tutti quelli che conosco concordano sul fatto che questo è un abuso e che possiamo definirla un’occupazione.

Personalmente, temo che le truppe russe che entrano in questo paese cementeranno politicamente la già forte influenza della Russia sul Kazakistan, e il Kazakistan diventerà come la Russia che conosciamo ora, con attivisti torturati e casi inventati. La nostra opposizione politica è già completamente messa a tacere e la popolazione del paese è interamente intimidita. Considerando che questa è la seconda sparatoria durante le proteste (2011 e 2022), e nella storia del Kazakistan c’è stata anche una brutale repressione di una rivolta sotto l’URSS nel 1986, e le informazioni sul numero di persone uccise all’epoca sono ancora riservate … allora non c’è speranza che nel prossimo futuro sapremo cosa è successo veramente e quante persone sono state uccise e ferite. Il conteggio molto probabilmente va verso le migliaia di persone.

Cosa credi che accadrà in seguito?

Ora è molto presto per immaginarne l’esito, in una situazione di guerra dell’informazione, di propaganda e isolamento. Non sono un esperto di politica.

Di sicuro, ora la repressione si intensificherà. Internet e tutti i media saranno censurati. Ora il governo cerca di fare una “faccia buona”, come se fossero i salvatori che ci hanno salvato dai terroristi. Non sono sicuro che funzionerà. Ma per il momento, penso che sarà tutto tranquillo. Le persone sono troppo spaventate e scioccate.

C’è qualcosa che le persone al di fuori del Kazakistan possono fare per supportare te o gli altri lì?

Diffondere informazioni, ovviamente. Forse presto ci sarà più repressione e alcuni attivisti avranno bisogno di aiuto per lasciare il Paese.

Il supporto più importante è informativo. Nel 2019, dopo le elezioni presidenziali, siamo stati tutti arrestati ai comizi e gli unici a scriverne sono stati i media stranieri e i media indipendenti kazaki (che sono pochissimi e i siti sono spesso bloccati). Ora è molto importante che il sanguinoso gennaio in Kazakistan non sia stato solo un bel quadro rivoluzionario come scrivono molte pubblicazioni di sinistra, ma anche che non sia ricordato come un atto terroristico voluto dall’esterno, come dicono tutte le fonti ufficiali dei diversi paesi.


Further Reading


6 gennaio: vista di Almaty tra il fumo, il giorno dopo.

  1. Dal 17 al 19 dicembre 1986 ci furono proteste ad Almaty in risposta a Mikhail Gorbaciov, l’allora Segretario Generale del Comitato Centrale del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, che destituì il pluridecennale Primo Segretario del Partito Comunista del Kazakistan e lo sostituì con un funzionario russo. (Gorbachev in seguito affermò che stava cercando di impedire a Nursultan Nazarbayev di concentrare troppo potere nelle proprie mani; Nazarbayev continuò a governare il Kazakistan per 28 anni.) Nel 1986, come nel 2022, le proteste si conclusero con un massacro per mano delle forze statali. Nel 1986, come nel 2022, si sparse la voce che i manifestanti erano stati corrotti con la vodka o disinformati tramite volantini. 

  2. Kazfem, probabilmente il primo movimento femminista in Kazakistan dal collasso dell’Unione Sovietica, pubblica la rivista femminista Yudol’ ed organizza manifestazioni per l’8 marzo, la giornata internazionale delle donne. 

  3. Il 21 aprile, Asya Tulesova e Beibarys Tolymbekov furono incarceratx per 15 giorni, accusatx di violazione della legge kazaca riguardante gli assembramenti pubblici dopo aver appeso uno striscione lungo il percorso della maratona di Almaty, con la scritta “Non potete correre via/fuggire dalla verità”- in riferimento alle elezioni presidenziali. 

  4. Questo articolo dai media parla di questo argomento, anche se è di parte.